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IL PANE PERDUTO

Un libro di Edith Bruck – La nave di Teseo Editrice

Proposto dal giornalista Furio Colombo, “Il pane perduto” di Edith Bruck compare nella dozzina finalista del Premio Strega 2021. Siamo in Ungheria, anni Quaranta. Protagonista del romanzo è Dikte, una bambina con lunghe trecce bionde, che va in giro scalza, che ama la scuola ed è l’ultima di sei figli di una famiglia indigente. Da un giorno all’altro le cose cambiano: tornando a casa, alcuni ragazzi la canzonano per il fatto di essere ebrea; in poco tempo, lei e la sua famiglia sono costretti ad abbandonare la casa per approdare in un ghetto, stazione intermedia e transitoria, prima di salire sul treno diretto ad Auschwitz, campo di sterminio dove poi periranno la madre, il padre e il fratellino Jonas. Dikte sopravvive, appena tredicenne, alle privazioni e alle torture, insieme alla sorella Judit, che le fa da madre. L’ultimo ricordo dell’infanzia improvvisamente spezzata è legato alle pagnotte di pane, quelle che sua madre avrebbe dovuto infornare, grazie alla farina donata alla famiglia da una vicina di casa per le festività pasquali. La narrazione autobiografica di Edith Bruck, costruita sapientemente con stile asciutto ma mai impoetico, procede per lampi d’immaginazione, che violano l’ordine cronologico degli eventi e consegnano al lettore la sofferenza genuina di atroci accadimenti filtrati dagli occhi di una bambina. “Mi hanno separata dalla mamma, la mamma, la mamma” ripetevo mentre venni spogliata, e cadevano le mie trecce con i fiocchi e venivo rasata, disinfettata, rivestita con una lunga palandrana grigia, zoccoli di legno ai piedi e sul collo appeso un numero: 11152, da allora il mio nome”. (p. 42) Si direbbe di un nuovo tassello nel puzzle sempre in fieri della memoria, di quella memoria che va continuamente richiamata, ma non è definizione esaustiva. L’autrice riesce a raccontare di più: la liberazione di Edith-Dikte e Judit è apparente, e persino il ricongiungimento con i membri sopravvissuti della famiglia non ha il sapore dell’incontro straziante che la normalità vorrebbe. Anche chi torna è condannato alla solitudine, il mondo si presenta ostile, la desolazione copre di nero le aspettative di chi “lavora nel fango, non conosce pace, lotta per mezzo pane, muore per un sì o per un no” (Primo Levi, Se questo è un uomo). E allora l’unica salvezza resta quella individuale, di chi racconta la coltre scura che incombe all’orizzonte e di chi, dall’altra parte, riconosce la sofferenza disumana e alienante attraverso il potere pervasivo delle parole. A restare colpito da questa lettura, Papa Francesco ha incontrato l’autrice. Nel libro, infatti, c’è una lettera a Dio, in cui Edith-Dikte affronta il dubbio nel mare magnum dell’oscurità e della paura, ma ringrazia di essersi salvata dalla tentazione dell’odio. E proprio con il Pontefice, l’autrice ha conversato sulla liceità dell’esercizio del dubbio, come dichiarato a “L’Avvenire”, nell’intervista pubblicata il 23 Febbraio 2021. Un “punto luce” – quest’ultimo – per sperimentare e costruire nuovo pane, cibo di conoscenza, solidarietà e partecipazione sincera.

Paola Cianella