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Briciole di grazia/La Fede? Una questione di sguardi

Dalla rubrica “Briciole di grazia” di Paolo Pizzuti

A lungo si è ritenuto che credere avesse principalmente a che fare con una tensione della ragione, con l’adesione intellettuale ad una serie di dottrine indiscutibili o ad alcune verità astratte. Eppure, se si va un po’ più a fondo, si scopre che la fede, più che un insieme di concetti da accettare o analizzare, è soprattutto uno sguardo da coltivare e praticare, un modo di vivere e vedere la vita e la realtà, una sapienza del cuore, più che della mente, che genera speranza e nutre l’amore. Lo stesso Papa Francesco, nella Lumen fidei, definisce «la fede […] come un cammino dello sguardo» (n. 30), che riconosce nelle pieghe dell’esistenza concreta e quotidiana, della storia personale di ognuno, il luogo privilegiato in cui si manifesta l’agire sorprendente e inatteso di Dio. Avere fede, dunque, significa penetrare con lo sguardo la realtà e scorgere, nel suo intimo, nel suo più profondo ordito, le tracce, i segni della grazia e dell’amore divino. D’altra parte, la stessa parola che nel Nuovo Testamento viene usata per indicare la conversione è il termine greco metànoia che, letteralmente, dal punto di vista etimologico, indica un mutamento dello sguardo, l’acquisizione di un modo di vedere altro, nuovo. Ora, gli avvenimenti che costellano la storia collettiva e le storie e le vicissitudini di ciascuno di noi, sovente, ci provocano e interpellano, contribuendo al sorgere di quella fondamentale domanda di senso che nessuno può eludere: il credente, esercitando la sua fede in Cristo, Signore che ha vinto la morte e il male, contemplando la realtà cerca, come in filigrana, di discernere la cifra nascosta dell’azione salvifica di Dio. La scuola dell’Evangelo, infatti, è quella della piccolezza: credere ci dovrebbe far vedere che tutto è velato in un granellino di senape, che la vera grandezza si nasconde nell’umiltà del nascondimento e della debolezza. Una simile consapevolezza, un simile sguardo, così paradossale e sorprendente rispetto alle logiche del mondo, passa attraverso i profeti dell’Antico Testamento, che nei momenti più bui dell’esilio, annunciavano fiduciosi la speranza del ritorno del popolo d’Israele a Gerusalemme; si incarna nella mangiatoia di Betlemme, dove dei miseri pastori scorgono, nel bambino che vi è deposto, il Messia atteso; si manifesta compiutamente nel momento della Croce, quando, nella morte di un uomo prostrato dalle sofferenze e dal dolore, il centurione pagano riconosce il Figlio di Dio; si realizza pienamente all’alba del Terzo giorno, quando le donne scorgono, nel sepolcro vuoto, la presenza del Vivente. La fede, perciò, domanda vigilanza e visione profonde, capacità di vedere, nella speranza, l’assenza come attesa, l’oscurità come limite estremo del primo albeggiare, la crisi come esodo pasquale, la fine come principio di vita nuova. Insomma, la fede condivide il medesimo sguardo dell’amore: sa vedere oltre le apparenze! L’esercizio della fede ci invita a leggere l’esistenza quotidiana come un cammino, che pur nelle incertezze e nelle ambiguità, ha come meta sospirata il Regno, ci esorta a generare sguardi profetici che sappiano far scaturire vita e non mortificazione, che, anche nel buio della notte, ci aiutino a scorgere stelle che mostrino, con certezza, che l’infinita misericordia di Dio è a fondamento dell’esistenza, unica e irripetibile, di ciascuno di noi, generando consapevolezza nel Mistero d’amore che tutti ci portiamo dentro e nell’Invisibile che ci abita. Infatti, nulla di ciò che accade nel qui e ora della nostra storia personale è materiale di scarto ai fini del nostro incontro con il Signore, che sempre ci attende e ci ama. A noi è affidato il compito di discernere, di vagliare ogni cosa imparando a trattenere ciò che ha seme di eternità e a lasciar andare ciò che è soltanto pula; a noi la capacità di scavare sotto le macerie di ogni situazione per coglierne il timido germoglio di Vita. Dunque, la fede, in fondo, altro non è che accorgersi di essere amati: scoprirsi guardati dall’Amore, per guardarci con amore.

Paolo Pizzuti